Vorwort

Cara lettrice, caro lettore,

un concetto proprio della scienza, ma che, spesso, viene utilizzato anche al di fuori della ricerca, è quello degli studi clinici. Di frequente i prodotti per l’igiene personale, le creme o gli integratori alimentati vengono presentati e pubblicizzati come “clinicamente testati” senza però chiarire che cosa significhi davvero quel clinicamente. Gli stessi test sono spesso molto diversi fra loro e, per i non esperti, è difficile comprendere in che modo il produttore abbia comprovato l’efficacia del suo prodotto; in generale, nella maggior parte dei casi “clinicamente testato” significa né più né meno che il prodotto non è nocivo. Considerando cosa nel corso del tempo sia stato utilizzato per combattere, ad esempio, la perdita di capelli (vedi articolo Miti sulla perdita di capelli), già la semplice innocuità può essere considerata come un risultato positivo, ma non vuol necessariamente dire che abbia anche una vera efficacia.

Inoltre, a mio avviso, il concetto di “clinicamente testato” viene usato spesso e volentieri per i prodotti per i capelli suggerendo in qualche modo l’idea che abbiano un effetto positivo sulla foltezza o struttura oppure che aiutino a combattere la perdita di capelli. Tuttavia, una tale promessa andrebbe valutata con cautela, perché sovente i test non confermano affatto ciò che ci porta a credere la pubblicità. Ecco perché con questo nuovo articolo desidero illustrare cosa siano davvero gli studi clinici e in che cosa si differenzino dalle altre modalità di ricerca che, per scopi commerciali, vengono definite “cliniche”; l’obiettivo è aiutarvi a comprendere meglio quali siano i messaggi pubblicitari affidabili e di quali, invece, sarebbe meglio diffidare.

In questo senso vi auguro una buona lettura!
Con i migliori auguri
La vostra Angela Lehmann

Cosa sono gli studi clinici e quali caratteristiche li differenziano dalle altre forme di ricerca scientifica?

Con studio clinico si intende innanzitutto una forma particolare di rilevamento dati o, più in generale, di studio su un nuovo trattamento appena sviluppato, ad esempio un medicinale o un dispositivo medico. Solitamente questi studi possono essere classificati in base ad alcuni aspetti, partendo principalmente dal loro design che andrà ad influire sulla significatività dei risultati. Tra questi aspetti vi sono:

  • lo studio è controllato con placebo? Vale a dire: vi è stato un gruppo di utenti che è stato trattato con una terapia o un medicinale di comprovata inefficacia, paragonandolo poi al gruppo che, invece, ha effettivamente provato la terapia o il medicinale?
  • si tratta di uno studio randomizzato? Vale a dire: la scelta di quali utenti entreranno in quale gruppo è casuale, oppure la suddivisione fra gruppo sottoposto a trattamento e placebo avviene in base a criteri prestabiliti?
  • lo studio è a singolo o doppio cieco oppure è in aperto? In questo ultimo caso, sia i ricercatori che i partecipanti allo studio sanno se si trovano nel gruppo placebo o di sperimentazione. In caso di “cecità” singola o doppia sono rispettivamente solo i partecipanti o anche i ricercatori a non sapere se il campione, di cui si stanno analizzando i dati, provenga dal gruppo placebo o da quello di sperimentazione.
© NIAID | Ci sono anche altri aspetti del design che possono variare, ma i tre appena descritti riassumono le differenze principali. © NIAID under Creative Commons Attribution License

© NIAID | Ci sono anche altri aspetti del design che possono variare, ma i tre appena descritti riassumono le differenze principali.
© NIAID under
Creative Commons Attribution License

Gli studi clinici possono poi essere differenziati in base alla loro fase, a sua volta suddivisa in preclinica e clinica. La parte preclinica dell’analisi serve alla ricerca fondamentale sull’efficacia presunta del nuovo medicinale o sul confronto fra diversi principi attivi possibili; in questa fase sono molto importanti i sistemi modello, i quali indicano la differente significatività degli esperimenti preclinici sia in vitro che in vivo. Nel primo caso, utilizzando, ad esempio, dei batteri si ricava il nuovo principio attivo oppure se ne osservano gli effetti sul metabolismo di cellule di lievito; gli esperimenti vengono sempre condotti in provetta, da cui la locuzione latina in vitro. Al contrario, negli esperimenti in vivo il principio attivo viene testato su esseri viventi al fine di studiarne l’effetto su organismi più complessi. In entrambi i casi bisogna, però, ricordare che gli esiti e le conoscenze ricavate dagli esperimenti non sono (quasi) mai rapportabili all’essere umano; l’obiettivo di questa fase preclinica è, come detto, quello di svolgere una ricerca fondamentale.

Se questi esperimenti si concludono con successo, la terapia o il medicinale possono essere approvati per una verifica clinica, la quale si suddivide a sua volta in quattro fasi, anche se alcune fonti parlano inoltre di una fase 0, alla cui spiegazione non viene fatto riferimento in questa sede. Nella Fase I il medicinale viene somministrato solitamente ad adulti di sesso maschile, giovani e sani; l’obiettivo è verificarne la sicurezza. In caso di partecipanti donne, ad esempio, si potrebbe rischiare di danneggiare gli ovuli, mentre le cellule germinali dell’uomo vengono riprodotte costantemente. Inoltre, la sana costituzione è necessaria altrimenti non sarebbe possibile valutare se l’efficacia osservata sia riconducibile alla malattia o al medicinale. Infine, durante la Fase I si studia anche quanto tempo il medicinale rimane in circolo nel corpo, come viene metabolizzato e se ha effetti collaterali. Nella Fase II il medicinale viene per la prima volta testato su persone affette dalla malattia in questione; si osserva se il progetto terapeutico teorico, risultante dai dati preclinici, sia in effetti corretto (Fase IIa), se ci siano effetti collaterali e quale sia il dosaggio ottimale (Fase IIb). Nella cosiddetta Fase III il medicinale deve dar prova di essere efficace su un vasta scala di pazienti; se l’evidenza positiva è significativa (Fase IIIa), si richiede il benestare alla commercializzazione per il preparato, ovvero la Fase IIIb. Nell’ultima Fase IV, infine, si studia quali siano le interazioni dei medicinali approvati con altri preparati; inoltre, si verifica se la sua assunzione provochi effetti collaterali molto rari (meno di 1 su 10’000).

Sullo sfondo di tale procedere vi è un controllo capillare di tutti i risultati da parte di enti indipendenti; l’esecuzione di tali studi clinici comporta solitamente costi di svariati milioni di dollari e molti anni dedicati a ricerca e sviluppo. L’approvazione dei preparati e la verifica degli studi è affidata negli USA alla Food and Drug Administration, nell’Unione Europea alla Commissione e agli Stati Membri, mentre in Svizzera alla Swissmedic con sede a Berna.

Ritorna all’indice

In base a quali criteri potete valutare la qualità degli studi clinici?

Indicheremo precisamente alcuni fattori, in base ai quali potrete valutare la qualità e la serietà degli studi clinici; in linea di massima tutto ciò che vi occorre è una connessione internet.

Ritorna all’indice

Lo studio è stato pubblicato e, se sì, dove?

La dicitura “clinicamente testato” e i suoi sinonimi sono un’affermazione usata a scopo pubblicitario che, però, né è normata, né sta ad indicare caratteristiche di qualità. A chi acquista un prodotto con una verifica clinica, viene tuttavia in qualche modo segnalato l’esito di essa; ad esempio, negli spot televisivi delle cosiddette creme anti-età, si afferma spesso che una buona parte delle utenti è molto soddisfatta. Anche chi si occupa di prodotti per la cura dei capelli segue la stessa strada e, sul proprio sito internet, rimanda a tali studi aggiungendo come caratteristica di qualità che il proprio studio è stato accettato per essere pubblicato da un giornale scientifico. Questa circostanza può essere verificata, ad esempio, cercando il titolo dell’articolo nelle banche dati scientifiche; se vi si trovano le informazioni sulla rivista dove è stato pubblicato, l’edizione e l’anno, allora si può dedurre che si tratti effettivamente di un articolo scientifico davvero pubblicato. Eppure chiunque può affermare sui media o sul proprio sito che il proprio prodotto sia stato testato clinicamente; se, tuttavia, non esistono a questo riguardo dati accessibili pubblicamente, allora si tratta solo di un’opinione.

Ritorna all’indice

In che modo sono stati ottenuti i risultati dello studio?

© INRA DIST under Creative Commons Attribution 2.0 License

© INRA DIST under
Creative Commons Attribution 2.0 License

Si tratta di un campo molto vasto, per il quale vanno considerati svariati fattori, ad esempio se lo studio è stato condotto su utenti o se si tratta soltanto di esperimenti in vitro, , come descritto in precedenza. Questa differenziazione è rilevante perché esistono anche studi in vitro che svolgono ricerca, ad esempio, sulla crescita di capelli di singolo materiale bioptico del cuoio capelluto. Potrebbe in effetti non stupire che i capelli continuino a cresce se si immerge una porzione di cuoio capelluto, sul quale si trova il follicolo pilifero, in un’adeguata soluzione nutritiva e si osserva quindi il capello che ricresce. Tuttavia tale prova sperimentale è estremamente artificiale e non ha assolutamente nulla a che fare con la crescita naturale che si verifica su di un organismo. E tuttavia, con esperimenti del genere, si riescono ad ottenere risultati che attestano l’efficacia di un prodotto senza che essa sia mai stata comprovata sull’essere umano reale.

La situazione è, invece, diversa se lo studio viene condotto su partecipanti veri. Innanzitutto bisogna chiarire in che modo essi siano stati reclutati: casualmente e poi suddivisi in un gruppo sperimentale e uno placebo? Oppure si tratta di persone affette da una patologia che desiderano curare partecipando proprio allo studio? In questo caso la motivazione dei partecipanti assume un ruolo non trascurabile. Inoltre, bisogna anche considerare la differenza d’età fra chi partecipa al test; se è elevata, allora è possibile che soffrano di malattie diverse che potrebbero influire sui test. Tali disturbi vengono menzionati o no?

Infine, va tenuto conto di quante persone hanno partecipato all’esperimento: dato che gli studi scientifici sono solitamente molto cari, non dovrebbero essere troppo numerose. Tuttavia, non possono essere nemmeno troppo poche, altrimenti la ricerca non sarebbe significativa. Nel caso ideale gli studiosi dovrebbero aver calcolato di quanti partecipanti hanno bisogno per poter comprovare l’efficacia.

Uno degli elementi più rilevanti è l’esecuzione stessa dell’esperimento, vale a dire l’obiettività e la soggettività del design. Proprio nel caso di prodotti per l’igiene personale non medicali, i partecipanti devono spesso rispondere ad un questionario di autovalutazione; per la maggior parte delle persone è difficile valutare a livello scientifico gli aspetti lì analizzati. Ad esempio, viene chiesto ai partecipanti se hanno avuto l’impressione di avere più o meno rughe dopo aver applicato una crema; dal punto di vista scientifico queste risposte non sono significative. Soprattutto se alcune partecipanti fin dall’inizio dell’esperimento avevano già molte rughe e, presumibilmente, soffrivano di tale condizione, l’immagine che sta alla base di una tale autovalutazione è falsata a tal punto che non è più possibile ricavarne alcuna informazione oggettiva. Per poter mitigare tale situazione, anche ai medici, che prendono parte a questi studi, viene spesso richiesto di fornire una propria valutazione medica che dovrebbe essere sì meno alterata, ma non è comunque in grado di fornire un esito oggettivo e misurabile.

Ritorna all’indice

Viene fatto riferimento ad effetti collaterali o ci sono informazioni su come gestirli?

Qualsiasi esperimento, che aspiri ad essere scientifico, deve fare riferimento ad effetti collaterali e secondari inattesi verificatisi durante l’osservazione dei partecipanti. Nel migliore dei casi non se n’è verificato nessuno, ma anche questa eventualità va indicata in qualche modo. Così il lettore può escludere da sé che l’impiego del prodotto comporti conseguenze negative, per lo meno quelle note. Il suo utilizzo è quindi innocuo, cosa che, però, non consente di giungere a conclusioni sulla sua utilità, dato che l’efficacia o meno di una terapia medica non è necessariamente correlata agli effetti collaterali.

Inoltre, il lettore di tali studi dovrebbe verificare se l’impiego, così come eseguito nel corso dell’esperimento, sia effettivamente praticabile; vale a dire che anche le condizioni di verifica devono corrispondere il più possibile a quelle “fisiologiche”. Tale criterio non viene ad esempio soddisfatto se il principio attivo di un integratore alimentare ha effetto solo in concentrazioni talmente elevate da richiedere l’assunzione di più chilogrammi di preparato al giorno. Un ulteriore esempio sarebbe una sostanza per combattere la perdita di capelli (alopecia) che, per agire, debba rimanere a contatto con il cuoio capelluto per alcune ore. Si tratterebbe di una durata di tempo di gran lunga superiore rispetto a quella di un normale shampoo; inoltre, l’utente futuro di un tale preparato dovrebbe chiedersi se il suo impiego sia compatibile o meno con il proprio stile e condizioni di vita. Infine, fra i punti su cui riflettere rientrano ad esempio i costi a lungo termine per l’applicazione continua di una crema da viso per combattere le rughe; oppure se usare uno shampoo contro la perdita di capelli richieda di modificare radicalmente le proprie consuete abitudini.

Ritorna all’indice

Dagli esiti dello studio si traggano generalizzazioni eventualmente inammissibili?

Spesso capita che, non solo nel caso degli “studi clinici”, gli autori di pubblicazioni scientifiche traggano dagli esiti generalizzazioni inammissibili. Non vogliamo insinuare che ciò venga fatto in modo premeditato o malintenzionato; chi si occupa molto intensamente e per anni di un certo ambito di ricerca, è facile che perda la lucidità di capire in quali casi sia sensato trarre una conclusione di causalità o meno. Per chiarire meglio, facciamo ora un esempio per analogia

Un produttore di sostanze (medicinali, lozioni, shampoo o dispositivi) che dovrebbero fermare la perdita di capelli, testa i suoi prodotti e, dalle valutazioni, risulta che la velocità della ricrescita dei capelli aumenta assumendo il preparato; quindi, il messaggio pubblicitario comunicato ai potenziali clienti suggerisce l’idea che il prodotto testato clinicamente stimoli la crescita dei capelli. Questa affermazione è corretta nel senso che la sostanza in effetti aiuta a far crescere più velocemente i capelli già presenti; tuttavia, lo spot pubblicitario non esplicita che ciò riguarda solo i follicoli piliferi sani, mentre quelli già morti non possono essere “resuscitati”. Per capirlo, però, è indispensabile riferirsi alla pubblicazione in questione.

Ritorna all’indice

Ci sono dei punti poco chiari in merito al metodo o agli aspetti finanziari dei dati pubblicati?

Un ultimo punto dal quale è facile comprendere se uno studio sia valutabile come serio o meno, riguarda i possibili coinvolgimenti metodici o finanziari; per poterli dimostrare o anche solo evincere, servono spesso ricerche molto approfondite.

Per quanto riguarda il metodo, si tratta di una questione complessa se è stato il ricercatore stesso ad aver sviluppato la procedura di analisi; per quanto questo aspetto possa a prima vista sembrare non sospetto, spesso nelle pubblicazioni scientifiche non vengono indicati tutti i particolari dell’esperimento. Si tratta di quella descrizione precisa al dettaglio che consentirebbe al lettore, mettendogli a disposizione il medesimo accesso alle giuste attrezzature sperimentali o sostanze chimiche, di effettuare da sé l’esperimento. Invece, al posto di una simile descrizione del metodo, molto spesso si trova il rimando a pubblicazioni precedenti, come: “La procedura di sperimentazione è stata descritta nel dettaglio in precedenza (FONTE).” Se il lettore va a verificare questa nuova fonte, può tra l’altro verificare che sia il metodo di ricerca che gli esiti ottenuti con la stessa sono stati sviluppati dalla medesima persona; a seconda della situazione in questione, ciò potrebbe sminuire la significatività dei dati pubblicati. Anche in questo caso, non intendiamo insinuare che i ricercatori siano mossi da motivazione equivoche.

Uno studio può risultare ancora più discutibile se si leggono i cosiddetti conflitti di interessi (Conflict of Interest). Si tratta di un elemento costitutivo specifico delle pubblicazioni scientifiche, in cui i ricercatori devono indicare se interessi di natura finanziaria o professionale abbiano in qualche modo influenzato la pubblicazione, o se la pubblicazione dei dati vada a toccare interessi di qualche tipo di terzi. In questo caso gli autori dello studio devono dichiarare in questa sezione di avere un conflitto di interessi. A volte in queste dichiarazioni si trovano dei contenuti controversi; ad esempio, quando si indica che lo studio è stato finanziato da un’azienda e che i ricercatori hanno inoltre ricevuto delle devoluzioni economiche dalla medesima. La questione diventa ancora più complessa se essa è anche produttore del medicinale o del dispositivo di cui si sta testando l’efficacia. Tali situazioni non sono affatto rare e, in svariati casi, prive di problematiche; non stupisce, infatti, che siano numerose le aziende interessate a dimostrare scientificamente l’efficacia dei propri prodotti. Bisogna però ricordare che affermazioni e rapporti del genere fra ricercatori e imprese non sono assolutamente illeciti; al massimo sono eticamente discutibili. Ciò non dovrebbe però trattenere il lettore attento dal soffermarsi a riflettere sufficientemente su tali rapporti commerciali e a chiedersi se un prodotto non medicale sia in effetti stato “clinicamente testato”.

Ritorna all’indice

Siete ancora insicuri se una pubblicazione possa essere valutata come seria o no?

e una pubblicazione soddisfa i requisiti di qualità presentati in questo articolo, potete essere abbastanza sicuri, che si tratti di un lavoro serio. Se, invece, avete ancora dei dubbi su come siano stati ricavati i dati, vi diamo un ultimo suggerimento.

Oltre alle aziende che possono finanziare l’esecuzione di studi scientifici, in quasi tutti i Paesi del mondo, che si occupano di ricerca, esistono delle autorità di verifica per l’assegnazione dei fondi ad essa destinati. Al momento della richiesta, molte di queste istituzioni richiedono che si predisponga una cosiddetta gestione dei dati, il cui obiettivo è rendere accessibili i dati primari originari ricavati dagli esperimenti a quanti più ricercatori e verificatori possibile, al fine di poterli controllare e convalidare. Potete quindi chiedere di ottenere l’accesso a questi dati grezzi e ricontrollare da voi se da ciò che è stato calcolato negli esperimenti si siano tratte le conclusioni corrette. Inoltre, avete la possibilità di chiedere direttamente ai ricercatori stessi; infatti su ogni pubblicazione è riportato un indirizzo di riferimento a cui contattare gli scienziati autori della ricerca. Spesso vale la pena chiedere chiarimenti e ricontrollare una seconda volta!

Ritorna all’indice